LE ROTTE MIGRATORIE LATINOAMERICANE E L’AZIONE DEI NARCOS MESSICANI

Il viaggio che i migranti latinoamericani affrontano dal Messico agli Stati Uniti non ha nulla da invidiare a quello tra l’Africa o il Medio Oriente verso l’Europa. Atrocità, violenze, soprusi, assenza di diritti umani sono messe in atto dalle forze dell’ordine messicane ma anche dalle agenzie nate ad hoc per gestire i flussi migratori. Così fioccano gli affari tra le istituzioni e i narcos.

Più di mezzo milione di persone percorre annualmente il tragitto che parte dal confine tra Messico e Guatemala per giungere a quello con gli Stati Uniti. La maggior parte di loro proviene da El Salvador, Honduras e dallo stesso Guatemala e scappa da situazioni di estrema povertà ed indigenza, da condizioni di violenza nei territori d’origine; altre, invece, vorrebbero ricongiungersi ai familiari già residenti negli Stati Uniti. Dal momento che gli abitanti centroamericani necessiterebbero uno specifico permesso per transitare in Messico, una delle poche opzioni rimanenti per oltrepassare lo Stato di frontiera è “La Bestia”.

Con “La Bestia” si indicano i treni merci che trasportano i prodotti da esportare verso nord, sino ai territori di confine e oltre. Il nome dà soltanto una remota idea di quello che significa davvero provare a salire e viaggiare su uno di questi treni. Dal momento che non sono pensati per ospitare passeggeri e non prevedono fermate “ordinarie”, i migranti devono cercare di avvicinarsi il più possibile e provare “il salto”, rischiando lesioni gravi e amputazioni. Una volta sopra, viaggiano seduti sulla cima del treno, senza potersi tenere ad un qualsiasi appiglio. Il lungo viaggio è reso interminabile dai pericoli a cui i viaggiatori sono costantemente soggetti. Un articolo del Migration Policy Istitute del settembre 2014 ha analizzato a fondo la rotta migratoria, presentando un quadro esaustivo delle minacce in cui i migranti si imbattono durante il tragitto.

 

Dal nodo di scambio del Chiapas fino al nord

Il percorso in genere ha origine nelle regioni Chiapas e Tabasco, a sud del Messico, dopo che i migranti provenienti dal Centro America hanno oltrepassato a piedi il poroso confine meridionale messicano, dove è piuttosto facile eludere i controlli frontalieri. Una volta raggiunte le stazioni di partenza ha inizio il viaggio verso Nord, così insostenibile da costringere spesso i migranti a sostare nelle varie strutture di accoglienza presenti sul tragitto e gestite da associazioni e ONG. Ai viaggiatori viene spesso estorto denaro sotto forma di mazzette e tangenti per approcciare i treni o per continuare il viaggio. Vicino al confine con gli Stati Uniti i migranti sono poi costretti a scendere, poiché la zona è soggetta a innumerevoli controlli e sorveglianze: si affidano così a trafficanti, detti “coyote”, senza i quali sarebbe impossibile valicare il confine.

 

Questa rotta equivale sostanzialmente ad un percorso ad ostacoli mortale. Per i viaggiatori transitare in Messico significa danni e lesioni causati da possibili deragliamenti e incidenti, condizioni di viaggio insicure ed estremamente pericolose, assalti e violenze di ogni genere, sparizioni, rapimenti.

Oltre all’estorsione di denaro a cui sono costantemente soggetti e che possono portare ad uccisioni in caso di mancato pagamento, i migranti entrano inevitabilmente nelle reti delle gang come quella di Mara Salvatrucha, che controlla il flusso migratorio del sud del Messico. Gang e gruppi di criminalità organizzata, di comune accordo, hanno il totale controllo dei diversi territori che riguardano le migrazioni e su di essi esercitano libero arbitrio; migliaia di persone vengono rapite, molte altre assassinate. Non ci sono numeri ufficiali riportati dal governo messicano a cui fare riferimento, ma la Commissione Nazionale per i Diritti Umani (CNDH) ha parlato di 11.000 rapimenti tra Aprile e Settembre 2010. Inoltre sono stati riportati numerosi casi di violenza sessuale contro le donne migranti. A volte persino i conducenti dei treni sono complici di questa reti di delinquenza. Questo era lo scenario sino all’anno scorso. Ora sembra essere, per molti aspetti, peggiorato.

 

Il “Plan Frontera Sur”

Prima del 7 luglio 2014, a fronte di tale problematica, il presidente Peña Nieto si era sempre limitato a proporre “soluzioni” isolate a seguito di specifici incidenti, senza fornire una strategia d’azione e d’intervento. Nell’estate dell’anno scorso però il governo messicano ha dato vita al Plan Frontera Sur, parte di una più ampia strategia politica di sicurezza nazionale, avente l’obiettivo di “proteggere e salvaguardare i diritti dei migranti che entrano e transitano in Messico”. Il piano, che a livello teorico ambisce a rafforzare la presenza delle autorità statali nelle zone di confine per creare una frontiera più moderna ed efficiente, inquieta molte organizzazioni della società civile ad un anno soltanto dalla sua nascita.

Innanzitutto perché sembra manchino parecchie informazioni sulla sua strategia di implementazione e sui suoi contenuti: le informazioni messe a disposizione sono scarse e frammentate. Uno dei pochi documenti ufficiali resi noti è la nomina del senatore Mayans come coordinatore di un nuovo apparato (Coordinación de Atención Integral de Migración en la Frontera Sur), creato ad hoc per questo programma e che andava peraltro ad affiancarsi agli altri organismi in materia di immigrazione già esistenti ed operativi in Messico, ma che ad oggi è stato già destituito. Il governo sembra mantenere un profilo basso e discreto per quanto riguarda lo sviluppo di questo piano di migrazione.

Sono, però, la formulazione del piano e i conseguenti effetti esercitati sul fenomeno delle migrazioni in Messico, a suscitare preoccupazione e inquietudine. Nell’agosto 2014 il governo ha presentato un programma articolato su più punti, volto a combattere e prevenire i pericoli derivati dall’utilizzo della Bestia nonché i gruppi criminali che approfittano della vulnerabilità delle persone in viaggio, impiegando una strategia che garantisca la sicurezza e la tutela dei viaggiatori. Le azioni su cui si struttura il programma, in linea teorica, consistono in un rafforzamento degli strumenti di investigazione ed intelligence per scardinare le reti di traffico e criminalità, di promozione della giustizia a tutela dei migranti nonché di assistenza ai viaggiatori in collaborazione con le organizzazioni civili.

Il cuore pulsante attorno a cui ruota questo piano è, però, l’azione di prevenzione, ossia di monitoraggio e sorveglianza massiccia delle zone frontaliere. A questo scopo, quindi, oltre ad opportune campagne di informazione, il governo messicano ha previsto un rafforzamento considerevole delle forze dell’ordine e della polizia stanziata sui territori di confine e sulle rotte che portano alle stazioni dei treni-merce. Sui territori riguardanti il fenomeno, quindi frontiere e rotte centrali dirette alle stazioni di partenza, sono state spiegate Marina, Esercito, Polizia Federale, senza però stabilire chiaramente ruoli, mansioni e responsabilità dei diversi organismi e definire un loro coordinamento. A tutto ciò si aggiungono i nuovi check point costruiti presso i punti chiave della frontiera.

 

I pericoli delle nuove rotte e la violazione dei diritti umani

In riferimento alle rotte ferroviarie il Programma Nazionale delle infrastrutture ha voluto implementare una strategia di innovazione e miglioramento delle linee già esistenti, impiegando un ingente investimento per aumentare le prestazioni dei treni merce, mitigando i problemi sociali ad essi collegati. In sostanza, per evitare che i migranti salgano sui treni è stata aumentata la velocità di viaggio della Bestia. Le conseguenze sono facilmente immaginabili, poiché, per evitare gli agenti di controllo, le persone tendono a saltare giù da un treno sei volte più veloce.

La difficoltà di utilizzare il treno e l’incremento dei controlli sui percorsi di migrazione tradizionali hanno scoraggiato l’uso della Bestia ma hanno fatto nascere nuove rotte di spostamento all’interno del Messico, ancora più pericolose e remote, dove i migranti sono maggiormente a rischio e hanno minor accesso alle protezioni classicamente fornite da strutture come le “casas del migrante”. Molti decidono di prendere i “Tijuaneros”, precari autobus che percorrono una rotta tra Chiapas e Tijuana, altri viaggiano per una rotta marittima-costiera che è lontana da ogni forma di aiuto e protezione fornita dal organizzazioni della società civile; altri ancora attraversano a piedi le zone più rurali.

La conseguenza più drammatica e devastante della nascita di nuove rotte incontrollate e dei massicci controlli è stata un esponenziale aumento della violazione dei diritti umani nei confronti delle persone in viaggio, non solo dalla criminalità organizzata e dalle gang locali ma dalle stesse forze dell’ordine e dell’agenzia di immigrazione, tra cui l’INM, Instituto Nacional Migración. Spesso il personale impiegato nelle zone migratorie è corrotto e colluso, e collabora con la criminalità nel sequestro e nelle sparizioni dei migranti per estorcere denaro, e nella tratta delle persone vulnerabili ai fini di sfruttamento sessuale e lavorativo quando non riescono a dar loro denaro. Gli agenti di polizia e gli operatori sono, quindi, i principali aguzzini, e proprio all’INM sono state imputate violazioni sessuali di bambine, adolescenti e donne; talvolta gli abusi avvengono sul treno, per chi riesce a salire alle stazioni di partenza ma non a scendere facilmente come negli anni addietro.

 

La sicurezza nazionale tra detenzioni e deportazioni

Allo stesso tempo il Plan Frontera Sur ha avuto come effetto un incremento della detenzione e della deportazione dei migranti: ad oggi il Messico detiene più migranti che gli Stati Uniti. Il Washington Office on Latin America ha stimato che tra ottobre 2014 e aprile 2015 ne siano detenuti 92.889 dalle autorità messicane a fronte dei 70.448 negli Stati Uniti.

La detenzione in Messico avviene in 32 di quelle che vengono chiamate “estaciones migratorias“. Queste non vengono mai chiamate con il vero nome di strutture detentive dalle autorità governative ma semplicemente alojamientos, ovvero sistemazioni abitative; in questo modo si aggirano le classiche procedure, evitando di fornire la mediazione legale, un chiarimento sulle ragioni della detenzione in un linguaggio pulito e semplice, e una corretta informazione sulle varie possibilità di richiesta d’asilo. La maggior parte dei migranti proviene da paesi in cui la violenza e la criminalità sono dilaganti, e ciò costituisce una sicura premessa per fare domanda di protezione. La metà dei bambini non accompagnati che giungono in Messico periodicamente potrebbero qualificarsi per fare richiesta di protezione internazionale, ma a loro non vengono neanche chieste le ragioni per aver abbandonato le loro case. La celerità prevista poi per la deportazione a seguito di un periodo detentivo impedisce un’attenta ed individuale valutazione delle possibilità di iniziare una domanda d’asilo. Molti di quelli che decidono di denunciare lo fanno accompagnati da organizzazioni o al secondo tentativo di traversata del Messico, avendo le idee più chiare sulle procedure a cui possono ricorrere.

Queste prassi di voluta mancata informazione dei migranti rende più veloce la deportazione e smaltisce i flussi di arrivo in Messico, proprio perché chi viene detenuto non conosce i suoi diritti e le possibilità di rimanere. I flussi migratori però non si sono arrestati, grazie al Plan Frontera Sur sono semplicemente diventati invisibili. Infatti l’obiettivo principale del programma è la cattura dei migranti in transito, prima che questi possano arrivare negli Stati Uniti, attraverso un’intensificazione dei controlli di frontiera; concettualmente tutto ciò significa indirizzarsi verso una politica che guarda alle migrazioni come una minaccia che deve essere domata, invece che come un fenomeno umanitario che deve essere regolamentato e controllato, proteggendo le categorie più vulnerabili.

Un ruolo centrale l’hanno giocato gli Stati Uniti che, a seguito dell’arrivo di migliaia di minori accompagnati giunti in territorio americano nel 2014, hanno esercitato considerevoli pressioni sul Messico affinché potesse giungere ad una “efficiente” politica migratoria. Gli USA hanno pagato questo condiviso progetto di contenimento circa 112 milioni di dollari, contribuendo al miglioramento della tecnologia di sicurezza frontaliera, delle infrastrutture e formazione del personale in materia, tanto che 14 milioni sono stati destinati unicamente alla creazione di un database delle persone che attraversano la frontiera legalmente.

di Vincenzo Castelli