Un itinerario nella foresta dei simboli

La trasfigurazione simbolica del quotidiano

Abbiamo spesso rilevato che un buon numero di attività e di istituzioni sociali messe in atto, consapevolmente o meno, secondo criteri di razionalità concettuale, raggiungono la loro piena funzionalità solo quando si traducono in esperienze simboliche, ovvero quando si caricano di una dimensione valoriale. E questo discorso non si limita solo a norme ed istituzioni standardizzate, ma riguarda l’intero territorio dell’esperienza quotidiana.

Per quotidiano s’intende qui in sostanza il “domestico umano utilizzabile” che comprende, assieme ai fenomeni della natura e della cultura, anche i corpi, le fisicità, le relazioni, come facenti parte (tutti) della realtà quotidiana. Sono i simboli della nostra visione del mondo e della vita, sono i simboli dei rituali del quotidiano (Cfr. le società primitive): quelli del mangiare, del lavarsi, dell’accendere i fuochi… Ogni atto della quotidianità diventa quindi oggetto di un processo di trasfigurazione simbolica, che ne garantisce la permanenza e la continuità. (Cfr. il gioco- J. Huizinga)

Lo spazio ed il tempo della vita

La “domesticità umana” ha una sua precisa dimensione spaziale, nella quale si disegnano due sfere distinte: quella dello spazio profano (in cui si realizzano le opere utili alla vita materiale) e quella dello spazio sacro (destinata alla celebrazione dei riti, al culto religioso ed alle pratiche simboliche in genere). Questa distinzione è caratteristica di ogni cultura conosciuta subendo delle costanti modifiche (cfr. come nei processi di modernizzazione lo spazio secolarizzato tende a prevalere su quello sacro).

Se lo spazio umano è quindi sempre uno spazio simbolico lo stesso si deve dire per il tempo degli uomini, che non è astrattamente quantitativo, così come non lo è lo spazio, bensì caricato di valore. Se il tempo della fisica e della meccanica è un tempo lineare, un succedersi di momenti il cui ritmo è sempre eguale a se stesso e privo di interferenze emotive, il tempo esperito immediatamente quale durata cambia costantemente di ritmo in rapporto al tono emozionale del soggetto.

Il tempo umano è, in breve, uno “stato d’animo” che si sostanzia di un vissuto concreto e palpitante. La linearità del tempo astratto e concettuale si converte allora nell’immagine simbolica di un corso ciclico, ritmato da eventi significativi, sul piano del valore, sia per il singolo che per il gruppo cui appartiene, da tempi sacri e da tempi profani, ma pur tuttavia garantito ed assicurato nella sua circolarità costante che preclude l’idea di un futuro ignoto e pericoloso. Si tratta cioè della destorificazione del tempo nella sua trasfigurazione in un’immagine mitica con la quale i viventi si identificano come soggetti.

La natura come valore simbolico

La spazio-temporalità umana, concettuale e simbolica, rappresenta, in un certo senso, il contenitore dei fenomeni naturali, come essi vengono autenticamente vissuti dagli uomini, nella loro duplice veste di dati concreti della storia e di immagini simboliche di varia qualità. La natura (cfr. i fenomeni naturali: celesti, marini….) si pone come materia destorificabile e trasfigurabile di innumerevoli rappresentazioni simboliche e di miti.

Questa mitopoiesi può attuarsi secondo tre modalità: come trasfigurazione essenzialmente poetica che converte i fenomeni della natura in immagini da contemplare, fruire e comunicare per la loro purezza formale; come trasfigurazione magica, con funzioni di garanzia psichica, dalla quale prende corpo la massima parte della produzione mitologica e dei rituali di riscatto della presenza; ed infine come manifestazioni dell’esperienza del sacro, come jerofanie di carattere religioso.

Il più delle volte, per la polisemia propria dei prodotti della creazione simbolica, queste modalità convivono, in proporzioni diverse, in un mito solo che può assolvere a tutte e tre queste istanze dell’esperienza simbolica. Come spesso abbiamo accennato, nel concreto, poesia, magia e religione hanno fra loro labili confini.

I miti

Il genere letterario della mitologia rappresenta un caso esemplare in cui si esprime la polisemia dei prodotti simbolici della cultura (ed in modo particolare la simbiosi fra la valenza religiosa, quella poetica e quella morale), così come vi è presente la dimensione della storia trasfigurata in epos ed i tentativi di trasfigurare in valori simbolici i prodotti del pensiero razionale medesimo, dal mito greco di Minerva fino a quello francese della Dea Ragione.

La mitologia è il modo proprio dei popoli antichi di esprimere un complesso patrimonio di svariate idee, non ancora specificatamente definite nella loro distinzione categorica e ciò senza poterle svolgere con metodi distinti.

I miti costituiscono nelle antiche religioni la forma più elevata di pensiero. Nei miti si plasmano le concezioni che gli uomini hanno della realtà. L’uomo vi proietta tutta l’esperienza della sua vita: della sua vita sociale, del suo rapporto con il cosmo e del suo rapporto con la divinità. D’altra parte i miti vengono sacralizzati in quanto plasmano storie divine accadute nei primordi dei tempi o di un popolo concreto. In tal modo il pensiero mitico costituisce un mondo di archetipi, dalla cui riproduzione riceve significato sacro e consistenza reale il mondo umano (cfr. M.Eliade, Trattato di storia delle religioni, Parigi 1949). La realtà umana è realtà e realtà sacra in quanto riproduce una serie di archetipi o di storie divine accadute nel tempo primordiale (o mitico).

Possiamo fare alcune distinzioni principali del mito:

  • Una prima dimensione di tipo decisamente favolistica, che è da considerare come la più antica forma di letteratura romanzesca, dalla quale prenderanno vita varie forme poetiche, come la lirica, l’epica e la drammatica. Elementi di morale, soprattutto tradizionale, etica sociale e familiare, più che problemi di morale personale ed autonoma.
  • Una seconda dimensione della mitologia ha carattere di vera e propria storiografia (Cfr. Schliemann con i suoi famosi scavi di Troia: una storiografia di carattere mitico, come tutto il primitivo modo di intendere la vita, impregnata di poesia e religione).
  • Un altro importantissimo gruppo di tradizioni mitologiche ha invece un carattere esplicativo e scientifico: gli aitia (elementi ed eventi causali di determinate forme di culto, di riti, di celebrazioni, le origini del genere umano, di varie figure mitiche).

Alcuni appunti di storia della mitologia:

  1. Nell’antichità classica il mito è considerato come un prodotto inferiore o deformato dell’attività intellettuale (cfr. Platone- mito contrapposto alla verità. Al massimo gli si dà il valore di verosimiglianza).
  2. La seconda concezione è quella per la quale il mito è una forma autonoma di pensiero e di vita. In questo senso il mito non ha una validità o una funzione secondaria e subordinata rispetto alla conoscenza razionale, ma funzione e validità originaria e primaria (cfr. G.Vico- mito come verità autentica, sebbene di forma diversa da quella intellettuale, cioè di forma fantastica o poetica.
  3. La terza concezione è la moderna teoria sociologica (cfr. Malinowki e Fraser- il mito come giustificazione retrospettiva degli elementi fondamentali che costituiscono la cultura di un gruppo sociale; Levi-Strauss- Il mito non è un racconto storico ma piuttosto la rappresentazione dei fatti che ricorrono uniformemente nella vita degli uomini: la nascita e la morte, le relazioni umane, i rapporti tra sessi…Potremmo parlare di “filosofia nativa”, cioè la forma in cui un gruppo sociale esprime il proprio atteggiamento di fronte al mondo o un modo per risolvere il problema della sua esistenza).

In definitiva possiamo dire che il mito non è solo una narrazione romanzata, un documento storico, un tentativo di spiegazione, un codice di vita sociale, un testo di preghiera o comunque sacro. Esso è anche l’espressione di un evento soteriotogico del tutto particolare, legato alla destorificazione di un evento critico.

Possiamo dire che il mito assolve ad armonizzare (processo di liberazione) una situazione critica in cui l’uomo si trova. Attraverso questo processo l’uomo riesce ad oggettivare una sua situazione critica così da non sentirla più come un incubo paralizzante ma come un episodio di una vicenda ideale e cosmica ad un tempo, nel cui necessario sviluppo essa viene ad iscriversi. La crisi diventa così un momento dell’immutabile “ritmo della vita”, e, attraverso la sua trascrizione in termini di mito, viene dall’uomo serenamente accettata.

Questa funzione del mito risulta particolarmente evidente nella mitologia legata alle vicende dell’agricoltura (cfr. il ciclo della nascita e della morte nella natura armonizzata dal ciclico ritorno della primavera). Il mito garantisce questo fortunato evento.

Come possiamo allora, per attualizzare il concetto, “gestire” la valorialità del mito nella crisi delle ideologie e dentro i labirinti della società complessa a cui il nostro tempo appartiene?

Non va infatti dimenticato che la dimensione simbolica è una disposizione insopprimibile dell’esperienza umana, ed ecco quindi che fanno oggi la loro comparsa sulla scena quelli che Dorfles (cfr. Nuovi riti e nuovi miti) ha chiamato i “nuovi riti” ed i “nuovi miti” del nostro tempo, strettamente connessi con il formidabile sviluppo dell’economia e dei mercati mondiali (cfr. il valore mitologico e simbolico acquisito, molto più di un feticcio, dalla carta moneta).

Si parlerà dunque di “miti” e di “riti”, ma se ne parlerà accettando l’ipotesi che nella nostra epoca sia intervenuta una “demitizzazione” (intesa come crisi del sacro, dissolversi di una ricca intelaiatura simbolica già istituzionalizzata ed ormai decisamente consumata – cfr. anche la fine dei miti determinati dalle ideologie come, ad esempio, quella marxista-leninista); ma, al tempo stesso, sostenendo la presenza d’una altrettanto efficace e neoformata “mitizzazione”, ossia d’una, il più delle volte inconscia ed irrazionale, simbolizzazione di nuovi elementi assunti a dignità ed efficacia analoga a quella che ebbero un tempo gli antichi miti.

Nel panorama offerto dalle società moderne, uno degli elementi più caratterizzanti, con riflessi in tutti i campi, è certamente la tecnica, sotto la veste di tecnologia e di applicazione di essa alla vita pratica. Si tratta di una ammirazione che raggiunge il feticismo e la mitopoiesi per l’elemento tecnico. Il risultato di tale situazione è quello di una acuita mitagogia di molti fattori tecnici.

L’uomo riserva sulla macchina il suo ethos ed il suo pathos. Da questo processo nasce quel fenomeno moderno che è la fantascienza, nella quale si può scorgere un prodotto simbolico nuovo e tipico della nostra cultura, un nuovo mito appunto, che si esprime in un suo linguaggio proprio e dà vita ad una letteratura sui generis.

In questo senso possiamo notare come siano cambiati gli spazi deputati alla diffusione dei messaggi simbolici e dei miti (dalle piazze e dalle chiese alla diffusione tramite finction televisiva, il massimo dei miti contemporanei…). L’ethos fondamentale della nuova mitologia audio-visiva è ormai quasi del tutto quello che si riferisce al consumo, come espressione attiva e concreta del valore di scambio divinizzato, che attiva il mercato delle merci. Lo scarto tra il desiderio di una realtà sociale sensata e le citate esperienze negative è spesso trasfigurato in mito, resuscitando, come se fosse una considerazione “attuale”, immagini di utopici paradisi perduti.

Queste immagini sono capaci, sì, di mobilitare le coscienze, ma non di fornire concrete e valide risposte razionali e politiche, che si dimostrino tali attraverso la loro effettiva realizzabilità, e non valgono solamente per il puro fascino simbolico derivante dalla fantasia retorica e mitopoietica che sollecitano. Molti di noi sentono crudamente la carenza di utopie realizzabili, e cioè di valori simbolici di perfettibilità della nostra attuale domesticità utilizzabile. Abbiamo il desiderio di vedere attuato l’ethos del trascendimento di cui parlava Ernesto De Martino, ma non sappiamo ancora da dove cominci la nuova strada, né dove conduca.

Immagini dal film Baraka (1992) e Samsara (2011) di Ron Fricke.

© Vincenzo Castelli